Il Napoli ha vietato l’esposizione puntuale. Ovvero la diffusione di un virus da un soggetto a tutti gli altri in un ambiente chiuso. Ciò vuol dire che il club di Aurelio De Laurentiis, con ogni probabilità, ha rispettato le regole. In particolar modo sul distanziamento nella struttura di Castel Volturno che ha ospitato la squadra durante gli allenamenti.
L’equazione a questo punto sarebbe anche semplice. Ma in sostanza non lo è. Perché i casi Genoa e Napoli non sono affatto paragonabili. I rossoblù hanno viaggiato alla volta del capoluogo partenopeo con dei positivi con la maggior parte della squadra che era in una fase di incubazione del virus. Perin è stato il paziente numero 1 all’interno del Genoa, ma la diffusione è stata massiccia in tutto il gruppo. Potrebbe essere il viaggio effettuato dai calciatori, lo spostamento quindi e non lo spogliatoio, il vero veicolo di contagio che ha scatenato il focolaio al Genoa. Neanche il campo sarebbe stato un veicolo di contagio probabilmente, anche se il caso di Piotr Zielinski lascia presumere che il centrocampista possa aver contratto il virus nella partita del San Paolo. Successivamente, lo avrebbe trasmesso al Eljif Elmas che è risultato positivo qualche tampone dopo.
Nel calcio, quindi, diventa difficile capire chi può essere veicolo del Covid e chi no. Nonostante il protocollo, anche decisamente rigido se vogliamo, non si può evitare il contagio durante una partita se un calciatore è in fase di incubazione. Fase, nella quale, il tampone risulta ancora negativo.
Per questo, anche l’indagine della Figc sul Napoli rischia di lasciare il tempo che trova. Il Napoli ha vietato l'esposizione puntuale del virusUn unico rischio per il club, quello del ritorno a casa dei calciatori dopo la notizia della positività di Piotr Zielinski. Ma se fosse stata una scelta degli atleti, volontaria, come quella dei calciatori della Juventus, il protocollo prevede una multa da 400 euro.
