Il 25 novembre 2020, ore 17.02 italiane, il mondo riceve la tragica notizia della morte di Diego Armando Maradona. Il Pibe de Oro viene stroncato da un infarto nella sua casa di Tigre, nella tranquilla periferia di Buenos Aires. Napoli e l'Argentina piombano nel più profondo e intimo dolore, come se Diego fosse uno di famiglia. Lo era, lo sarà sempre.
Luigi Capasso, direttore di MagicoNapoli.it, giornalista professionista che segue da anni le vicende del club partenopeo, racconta il suo Maradona. Aneddoti della sua infanzia legati a Diego e ne approfitta per lanciare una proposta per la città di Boscoreale. Un assist al sindaco Diplomatico per segnare un bellissimo gol.
Direttore come ha accolto la notizia della morte di Diego che ha scosso il mondo intero?
“Come una parte della mia infanzia che andava via. L'ennesima, come naturale percorso della vita. Le partite nella piccola TV in cucina in bianco e nero 14 pollici, snobbando la tv nel salone perché non portava bene, insieme a mio nonno. Mi è tornata in mente l'espressione di nonno Giuseppe al rigore sbagliato a Tolosa. Quella sera aveva mangiato il brodino, Diego glielo rese indigesto. Però ricordo anche gli sguardi felici, gli scudetti, la notte della Coppa Uefa”.
Luigi Capasso semplice amante di calcio e non il professionista cosa ha provato?
“Amare il calcio vuol dire amare Diego. Le sue giocate. Era quanto di più bello c'era: l'imprevedibilità assoluta. Magia pura, un pallone che scompare, un piede magico che ha la calamita. Il sogno di noi bambini che avevamo maglie rigorosamente false e giocavamo per strada. Faccia sporche e ginocchia sbucciate, ma tanta felicità. La stessa di Diego con il pallone”.
Cosa ha rappresentato Maradona per il mondo del calcio?
“Un vero dio del pallone tra i comuni mortali. Non a caso lo chiamano Dios. Ma anche il vero confine del calcio tra genio e sregolatezza. Diego ha pagato la sua solitudine nella popolarità che lo soffocava”.
E per i napoletani?
“Per Napoli, Diego era Napoli. Icona di un modo di essere geniali, fuori dagli schemi, risolutori improvvisi. E Napoli è mammà, per i napoletani. L'amore più profondo e viscerale che possa esserci al mondo”.
E per il Pibe de Oro Napoli e il Napoli quanto hanno inciso sulla sua vita?
“Napoli è stata esaltante e purtroppo devastante. Diego è stato stritolato da chi doveva proteggerlo, alla ricerca di una popolarità e di un potere riflesso che solo lui poteva dargli. Far vedere a Napoli di essere amici di Maradona era un vanto che tutti volevano avere. Diego ha pagato anche la sua disponibilità. Non era un santo, ma neanche un manipolatore che sfruttava la sua fama. Maradona era sfruttato, vittima non carnefice. E alla fine ha fatto del male a se stesso. Trovate uno a Napoli che dice di aver subito un torto da Diego”.
Nel tuo articolo di addio al D10S hai definito Napoli una 'mamma troppo permissiva'. Perché?
“Il calcio di allora non era quello di oggi. C'erano le fughe dai ritiri, le donne negli alberghi, giornalisti in ogni angolo ma più rispettosi anche. Diego era il re al quale veniva consentito tutto o al quale veniva offerto tutto. Il prezzo che ha pagato è stato alto. Corrado Ferlaino aveva sempre una smorfia particolare sul viso quando parlava di Diego, anche in privato, a microfoni spenti come diremmo oggi”.
Se avessi vissuto da giornalista il Maradona degli anni d'oro al Napoli, cosa avresti voluto raccontare?
“Non saprei. Quando muore un personaggio come Diego, o uno come Freddy Mercury non pensi a cosa avresti potuto raccontare. Pensi a cosa hai raccontato. Mio figlio non ha visto Maradona, ma lo conosce. Questo è il racconto più bello che si possa lasciare. E fin quando nell'angolo più sperduto della terra esisterà un pallone ogni bambino del mondo saprà chi è Maradona. Diego ha raccontato se stesso e la notte di Napoli, vissuta allo stadio San Paolo o davanti al murales dei quartieri hanno raccontato una cosa.
Diego non mancherà a questa gente, perché è eterno. Napoli non è andata a piangere la sua scomparsa, ma solo a dirgli grazie per essere esistito. Lo hanno raccontato maestri del giornalismo sportivo assoluto, quelli che firmavano le colonne dei giornali che divoravo fin da bambino. Non come i giovani di oggi che fanno copia e incolla. Agli allenamenti si andava, non c’erano comunicati stampa. I pezzi si dettavano al dimafano. Oggi sono quasi tutti uguali”.
Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, con un tweet ha annunciato che intitolerà lo stadio a Maradona. Un gesto dovuto o meritato?
“Per Diego niente è dovuto. Nessuno gli ha regalato nulla. Diego ha dato a Napoli più di quanto ha ricevuto. Forse il 25 novembre, con le luci dello stadio Maradona... - pardon ancora San Paolo - accese, è iniziata la sua ascesa da mito ad eternità”.
Che faresti per ricordare la memoria di Maradona?
“Intanto scrivo e mi viene giù qualche lacrima. Anche in provincia ci saranno iniziative. Proprio nel giorno della morte di Maradona al Comune di Boscoreale è stato approvato un finanziamento della Città Metropolitana per costruire un campo da calcio nella periferia del Piano Napoli. È un terreno abbandonato a se stesso, meta anche di tossicodipendenti. Sarebbe bello che un simile messaggio di speranza e rinascita per il futuro portasse il nome di Maradona.
Il sindaco Antonio Diplomatico, che di calcio ne capisce, potrebbe accogliere questa proposta anche perché grande tifoso del Napoli e di Maradona. Mi piacerebbe che la valutasse. In fondo la città è passata da un sindaco del non fare come era Balzano a un primo cittadino che fa gli straordinari come Diplomatico, che sta sempre sul pezzo. Il sindaco non sarà paragonabile a Maradona che nel suo genere è stato unico, ma sicuramente ha l'eleganza di Renica, l'intelligenza di Romano e quando lo provocano con eresie anche la grinta di Bagni. Quindi, una proposta del genere potrebbe valutarla”.
Diego non è morto, Diego è diventato leggenda. Quella che racconteranno intere generazioni. “E speriamo che siano generazioni di giornalisti sempre in primo piano e non copincollisti da comunicati stampa”. Giusto Direttore?