Sosa: "Eravamo quattro calciatori e un pallone della Lazio, ora il Napoli è oro"

13 Marzo 2023
- Di
Emanuele Catone
Sosa Napoli
Tempo di lettura: 2 minuti

NAPOLI INTERVISTA PAMPA SOSA - Roberto Sosa, per tutti El Pampa, è stato il primo calciatore dell'era De Laurentiis ad essere tesserato e l'ultimo calciatore del Napoli a indossare la maglia numero 10. L'attaccante argentina ha rilasciato un'intervista a La Gazzetta dello Sport dove ha parlato della sua esperienza in azzurro e dell'attuale squadra di Spalletti.

Napoli, l'intervista di Sosa a La Gazzetta dello Sport

"Fui il primo tesserato del nuovo Napoli nato dal fallimento. Firmai il contratto in una stanza dell’Hotel Vesuvio. Non esisteva una sede. Eravamo quattro calciatori il primo giorno di ritiro a Paestum: io, Montervino, Montesanto ed Esposito. Non c’era nulla. Zero. Tutto sequestrato. Tutto così surreale. L'allenatore era Ventura. Parlava delle sue idee a questi 4 disperati, ma era fantacalcio. Non c’era una squadra e nemmeno la si poteva immaginare. Esposito aveva in macchina il pallone sgonfio del nipotino. Un pallone della Lazio. Facemmo con quello i primi palleggi".

La scelta Napoli

"Mi chiama Pierpaolo Marino: “Ti voglio portare con me a Napoli, non ti pentirai, torneremo in A e diventerai il re della città”. Io avevo paura della C. Non la conoscevo. La vedevo come un campionato difficile. Avevo già fatto fatica in B con Ascoli e Messina. Marino mi aveva già portato a Udine. M’era venuto a prendere di persona al Gimnasia in Argentina. È un amico. E poi ci fu la mossa decisiva. Mi feci promettere da Pierpaolo che nell’ultima al San Paolo avrei indossato la 10 di Maradona. Era stata ritirata, ma in C valeva ancora la numerazione tradizionale. Ultima in casa con il Frosinone. Eravamo già promossi, chiedo a Reja la numero 10 ma lui fa il vago. “Vediamo...”, mi fa. “Vediamo un cazzo, mister!...”. Parlai con Pierpaolo e gli ricordai il patto".

Sugli azzurri di quest'anno

"Scudetto già vinto. Spalletti l’ho avuto a Udine. Se penso a lui, non mi ricordo di come giocava tatticamente. Mi ricordo la sua empatia: te le faceva toccare con mano le cose in cui credeva. Se lo confronto con Sarri, un altro allenatore che stimo e conosco bene: Sarri insegna a giocare a calcio, Spalletti ti insegna a come stare nel calcio. Mi sento d’aver messo il primo mattone, il primo a dire: crediamoci. Il primo atto di fede. Con i compagni, De Laurentis e Marino, abbiamo attraversato l’inferno e oggi siamo alle porte del paradiso".

Sul calciatore più forte come compagno

"Guillermo Schelotto al Boca, Amoroso all’Udinese e Pocho Lavezzi al Napoli. Un pazzo. Genio e sregolatezza. Non gli piaceva allenarsi. Per un anno ha fatto finta di non parlare e non capire l’italiano per non avere rotture di scatole".

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